Miyagi docet

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Ho fatto una cazzata.
Una grande, gigantesca, strepitosa cazzata.
Ovviamente avevo le migliori intenzioni, ed armata di spazzolino da denti e olio di gomito, e del dannato acido tamponato, mi sono messa a pulire le fughe del pavimento.
Avrei dovuto capirlo dallo sguardo di superiorità dei miei gatti che quello che stavo facendo era sbagliato, ma io no, imperterrita ho continuato a gettare benzina sul fuoco (o acido sul pavimento).
Ovviamente i miei gatti la sanno lunga, mentre io non potevo immaginare che mi sarei ritrovata con il pavimento pieno di chiazze opache!
Avevo testato un angolo nascosto ed era venuto così bene… O forse non indossavo gli occhiali…
Comunque, fatto sta che ho passato la domenica a lavare, rilavare, ririlavare il pavimento della cucina. Ho passato tremila prodotti diversi, acqua calda, acqua e aceto, alcool, detersivo, Emulsio Lavafacile Ceraqualcosa. Alla fine, quando si è fatto tardi, il pavimento sembrava quasi tornato allo stato precedente.
Ma i miei gatti continuavano a guardarmi male.
Infatti stamattina con la luce del sole… ORRORE, era anche peggio di come lo ricordavo!!!
Così dopo il lavoro sono corsa a comprare Emulsio Cera e armata di santa pazienza, mattonella per mattonella, ho messo la cera e tolto la cera, poi rimesso la cera e ritolto la cera. Poi ho lavato con acqua, con Emulsio qualcosafacile, con il Folletto Pulilava o come si chiama, con altra cera, ho asciugato, strofinato…
Finalmente sembra quasi decente. Ma è di nuovo calato il sole e magari domani mattina mi strapperò i capelli…
Ah, maestro Miyagi, avrei bisogno di un tuo aiuto!

I bambini ricordano la nascita

Se non sbaglio è il titolo di un libro, e se così fosse e qualcuno di voi lo ha letto mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Sono davvero curiosa di saperne di più al riguardo, e credo che cercherò il libro in questione su internet appena possibile nella speranza di trovare una risposta alla mia curiosità.
Vi racconto una cosa, una cosa un po assurda, un po buffa, un po dolce.
Un giorno, mesi fa, per qualche motivo giocando con Cicciobombo,  feci finta di piangere. Ovviamente lui mi guardava indifferente. Poi emisi una specie di “Hiii” prolungato e quasi stridulo, che col senno di poi mi ricordò il suono che emisi durante le spinte del parto, e Cicciobombo improvvisamente si guardò intorno e fece le labbrucce all’ingiù, sembrando spaesato ed iniziando poi a piangere. Incuriosita ripetei la stessa cosa un altro paio di volte (si, forse non è una cosa carina ma chi non si emoziona quando suscita qualche reazione di un fagottino piccolo piccolo?).
Oggi, giocando, a distanza di mesi, ho fatto di nuovo quel suono e la reazione è stata la stessa. So bene che può sembrare assurdo ma mi è venuto in mente che quel suono ricorda anche a me il parto. E dato che è una reazione che non ha con nient’altro, la cosa mi incuriosisce abbastanza.
Insomma, sono neonati, ma pur sempre persone, e nella loro testolina qualche ricordo e qualche pensiero c’è… Possibile che i bambini ricordino davvero la loro nascita?
Che ne pensate?

Niente occhiali

La maestra dea Nanerottola sarà contenta di sapere che mia figlia ci vede benissimo.
Sono settimane che mi dice che sforza gli occhi per guardare la lavagna, cosa che io invece avevo attribuito ad una sorta di ‘tic nervoso’ (ad esempio lo fa quando la rimprovero). Anche perché io,  che non ci vedo una mazza, ho sempre potuto contare su di lei per sapere “Cosa c’è scritto laggiù?”. Ieri per scrupolo l’ho portata dal mio ottico, e non esagero se dico che è davvero bravo, e il risultato è stato “La bambina vede con 12/10”.
Certo, la porterò a fare una visita oculistica al più presto, ma per il momento sono contenta di poter dire che non ha bisogno di mettere gli occhiali. Perché io, che li porto (e spesso mi ostino a non indossarli a costo di non vedere ad un palmo dal mio naso) so quanto siano scomodi.

“Te manca sempre 30 pe fa 31!”

Lo ammetto: so Romana e me ne vanto.  Adoro i modi di dire del mio dialetto, di certe frasi non se ne può fare a meno.
Quello che fa da titolo a questo post, poi, è uno dei più veritieri in assoluto.
Sopratutto quando si ha a che fare con la Nanerottola.
Alle prese con le chiacchiere natalizie, e grazie ad un kit da lettere con tanto di busta con su stampato l’indirizzo di Babbo Natale (per la cronaca, non ho ancora capito se la Nanerottola ancora crede nella sua esistenza o fa la furba facendomi credere di crederci), ci siamo ritrovate a parlare di quali doni desiderasse trovare sotto l’albero. E tra la casa di Emma dei Lego (che non ci lasceremo certo sfuggire!) e i vari giochi scientifici e da tavola ai quali è particolarmente interessata, se ne esce con la richiesta di un gatto robot.
E che male c’è, direte voi?
Beh, per dirne una, quest’ estate abbiamo adottato due gattine in carne ed ossa!!! Che ce ne dobbiamo fare di un gatto finto!? Lana e Monroe fanno le fusa, mangiano, fanno la cacca e la pipì, giocano, vogliono le coccole e non hanno nemmeno bisogno di una dozzina di batterie per funzionare! Non bastano?
Ecco allora che ci sta bene la frase “Te manca sempre 30 pe fa 31”.

Comunque, per sicurezza, io e mio marito abbiamo detto alla Nanerottola che probabilmente Babbo Natale non porterà alcun gattino finto visto che già  ne abbiamo di veri…

Gioie e dolori dell’allattamento…

Il mondo delle mamme è diviso in due categorie, fondamentalmente:
1) Le mamme che allattano
2) Le mamme che non allattano
Io sono stata, la prima volta, una di quelle mamme che non hanno allattato. Poi, con il secondo figlio, una mamma che allatta.
Entrambi sono comunque vivi ed in salute.
Ovviamente il latte materno ha tutte quelle qualità irreplicabili, uno su tutte l’attaccamento mamma-figlio (che poi, parliamoci chiaro, non è che la prima figlia mi abbia mai detto “Mi stai sulle palle perché non mi hai fatto ciucciare latte dalle tue tette!”).
Ma poi arriva uno dei traguardi più importanti: la comparsa dei dentini. E finché sono piccoli e carini tutto ok. Ma quando stanno spuntando i due dentoni di sopra, belli grossi e cicciotti, e qualsiasi superfice è l’ideale per scartavetrarci le gengive alla ricerca di un po di sollievo, ah, quelli si che sono dolori!!!
Quindi le cose sono due: o Cicciobombo si sbriga a tirar fuori sti denti e la smette di mordermi manco fossi un Kebab, o i miei vicini cominceranno a pensare che l’arrivo di un secondo figlio abbia scatenato in me e mio marito una frenetica passione notturna che mi stimola urli strazianti (che ne sanno loro che Cicciobombo ancora passa le nottate attaccato al seno!).
Comunque, facendo un resoconto dettagliato, a me allattare piace davvero poco.
Per carità, nutrire mio figlio dal mio corpo, vederlo illuminarsi quando ci accoccoliamo sul lettone per la poppata, è tutto molto bello.
Ma averlo attaccato perennemente, avere le tette grosse che traboccano in ogni dove, perdere latte, mi piace molto meno.
E pensare che non vedevo l’ora di allattare, quando ero incinta!
Dopo una settimana mi ero ripromessa che avrei smesso a 6 mesi. A 7 mesi ero sull’orlo di una crisi di nervi. Ora siamo a 9 e confesso che secondo me ne avremo ancora per altri diciassette anni e la cosa mi preoccupa abbastanza.
Cicciobombo mi ha illusa per qualche settimana con il latte vaccino, lo beveva con gusto e si faceva una bella dormita di almeno quattro ore filate. Ora invece lo schifa del tutto.
Perché, non so se ve l’ho mai confessato, ma mio figlio è proprio un gran simpaticone!

A o B? C!

La situazione è questa: sto per andare al bar, a prendere la colazione alla Nanerottola.
Solitamente lei prende una ciambella. Ma probabilmente se le compro una ciambella, lei stamattina vorrà un cornetto.
Ma se le prendo un cornetto, ovviamente vorrà una ciambella.
E se prendo una ciambella ed un cornetto, sono sicura che lei vorrà un Ovetto Kinder.
E tutto questo non perché è capricciosa o altro, ma perché ha quasi 9 anni e sta attraversando una fase (così dicono) in cui vuole essere totalmente autonoma e qualsiasi cosa io faccia c’è sempre un errore.
E vi giuro, io non vedo l’ora che questa fase finisca!
Ormai io non so più consigliarle i vestiti, i film da vedere, addirittura non va più nemmeno bene come le concio i capelli per andare a scuola.
Se io dico A, lei deve dire B, se non addirittura C, o che il cielo mi aiuti addirittura Z!!!
Non sono preparata. Perché la Nanerottola è sempre stata un angelo. La figlia che tutte le mie amiche mi hanno sempre invidiato, dicendomi “Se fossero tutti come lei i bambini, farei altri cento figli!”.
Ah, ed ora come la mettiamo, che è una tragedia anche se sposto un bicchiere?
Vi assicuro che è devastante. Ormai discutiamo quasi ogni giorno per qualsiasi cosa. Se le dico di andare a farsi la doccia mi dice di no, ma se le dico di venire sul letto con me a guardare un film mi dice che prima deve andare a farsi la doccia.
Comprendere quello che vuole è diventata un’impresa impossibile.
Credevo fosse gelosia nei confronti del fratellino e del tempo che dedico a lui, ma le mie amiche con figlie della stessa età della Nanerottola sono tutte nella mia situazione. Magra consolazione…
Sta iniziando a diventare grande, a formare la persona che sarà.
Addirittura è appassionata di religione, tanto che la sera prega prima di mangiare. Cosa che io non le ho mai insegnato (non sono religiosa, non ho fede e credo nella scienza), a dimostrazione del fatto che sta scegliendo da sé la strada da seguire.
Mi fa davvero piacere, ovviamente. Non condivido la sua scelta ma se lei vuole andare in chiesa, pregare e fare la comunione ben venga, chi sono io per sbarrarle la strada?
Ma ci penso e ci ripenso e mi sento un po malinconica.
Sembra ieri che mi chiedeva di farci il bagnetto insieme, di giocare con il servizio da tè con i suoi amici immaginari, di aiutarla ad abbottonare i jeans o le camicette.
Ora invece è una piccola donna, con le sue idee, le sue opinioni, i suoi gusti, ed ora più che mai mi rendo conto che il tempo indietro non torna mai. Ed anche se continuerò a strapparle baci e abbracci fino a quando non avrà 50 anni, ed anche se sono contenta che stia crescendo, che stia diventando grande, mi manca un po, la mia Super Nanerottola…

Come superare una situazione sgradevole

Tendenzialmente sono paranoica. Sono una di quelle persone che si fanno un sacco di film mentali. Non salto a conclusioni affrettate, mi apro direttamente mille scenari differenti e alla fine non riesco a dormire.
Però voglio andare avanti, perché la vita è fatta delle esperienze che ci segnano, e delle lotte che vinciamo o perdiamo.
Io questa volta ho deciso di pensarci e ripensarci e alla fine di valutare che voglio vincere e lottare per ciò a cui tengo di più: la mia famiglia.
Mio marito, che è il mio migliore amico, l’ala che mi ha aiutato a volare ogni giorno da dieci anni, e i nostri figli.
Mi prendo le mie colpe, ognuno prende le sue, e chiudo un capitolo fatto di distanze per aprirne uno nuovo: superare insieme un momento di crisi. Di debolezza. Di mancanze.
Voglio andare avanti e ricordare un giorno, quando saremo sdentati e pieni di rughe, che non saremmo insieme se avessi deciso di arrendermi.
Perché non si vede bene che col cuore.

Donne al volante…

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Non so voi altre mamme motorizzate che tipo di rapporto avete con le auto, ma io, devo ammetterlo, non ci capisco assolutamente nulla. Ma proprio nulla nulla.
Della serie “Ma mo, sti cavalli dove me li metto?!”.
Chiariamo: non sono una donna dall’ansia alla guida.
Ne conosco, di donne così. Sono quelle che pronunciano la frase “Ecco, lo sapevo, mi sono persa!” anche a un chilometro dal proprio garage. Quelle che se si accende una spia cominciano a pregare ogni santo sul calendario e a fare conti su conti sperando che il meccanico di fiducia faccia uno sconticino visto che gli affidano la macchina una volta a settimana… e poi magari devono solo mettere benzina.
O quelle che si fanno parcheggiare l’auto dal primo passante di turno, sentendosi in enorme imbarazzo ma oh, almeno liberano la strada.
Io sono una di quelle donne al volante che prima di motorizzarsi detestavano gli automobilisti. Poi dopo aver preso confidenza con la vita da automobilista hanno iniziato a detestare qualsiasi essere vivente si mettesse sul loro cammino.
Ciclisti – quelli che la domenica mattina occupano intere corsie, vestiti in elastene colorato, che chiacchierano beatamente mentre tu vuoi solo sorpassarli e proseguire non proprio a passo d’uomo (senza offesa, eh!) – in primis.
Ma anche i pedoni – quelli che non si sa perché non vogliono camminare sul marciapiede, anche se il marciapiede al loro fianco è libero e largo quanto una strada – e gli altri automobilisti – ma le frecce non le avete portate quando siete usciti di casa!?.
Mi capita di dire a mia figlia di tapparsi le orecchie perché sto per insultare qualcuno.
Eppure, all’idea di muovermi per Roma senza macchina, come ai vecchi tempi, mi vengono i brividi. Anche la febbre. E forse mi esce pure qualche bolla sul corpo.
Ed anche se di macchine non ci capisco nulla, l’altro ieri abbiamo fatto il salto di qualità – ma senza esagerare! – e con l’aiuto di mia suocera – quella santissima donna che come lei ce ne sono davvero poche! – siamo passati da un misero e mal ridotto Seicento ad una macchina sempre vecchia ed usata ma a 5 porte, più spaziosa e comoda per la famiglia che ora si è allargata un po.
Ora metteremo il nostro Seicento in vendita, ma vi giuro, mi piange il cuore.
Quella macchina l’abbiamo comprata con i soldi che ci hanno regalato al nostro matrimonio. Ci abbiamo fatto viaggi (pochi) e passeggiate (tantissime). Ci siamo andati al mare, in montagna, ci siamo entrati in sette, ci ha lasciato a piedi e portato lontano. Ci abbiamo riso, pianto, litigato ed urlato. Ci siamo parcheggiati in un angolo ad ascoltare musica dividendo una birra il sabato sera mentre la Nanerottola era dai nonni. Ci abbiamo camminato a lungo accorgendoci che la Nanerottola si era addormentata da un pezzo sui sedili posteriori.
Ed ora, anche se il valore effettivo di quella macchina è pochissimo, quello affettivo non si può nemmeno stimare.
Ci siamo fatte delle foto, dei selfie nella nostra “Geltrude”, prima di parcheggiarla per l’ultima volta in attesa che qualcuno la compri (prima o poi).

…e poi, devo ancora prendere la mano con l’auto nuova! Possibile che sia così spaziosa!? E alta!? E larga!?
Mi sa che qualche volta dovrò fermare uno sconosciuto di passaggio per farmela parcheggiare… 😉

Compagni di banco

La mia compagna di banco preferita alle elementari era piccola e portava gli occhiali, la mamma le faceva sempre i codini ed aveva i capelli neri come il carbone.
Poi c’era il compagno di banco che proprio detestavo: gli sudavano sempre le mani, sputacchiava quando parlava ed era davvero appiccicoso.
Oppure c’era A. che era daltonico e dovevo sempre aiutarlo a riconoscere il marrone, il verde ecc.
D. che aveva sempre le Big Babol, V. che andava a pesca col padre quasi ogni fine settimana, S. che sapeva a memoria le sigle dei cartoni animati.
Ed anche se ai tempi avrei preferito stare seduta al solito banco accanto alla parete – dove grattuggiare la gomma per pulirla era davvero comodo!- con la mia compagna dai capelli corvino, col senno di poi ammetto che è stato bello imparare qualcosa su ogni compagno di classe.
Dunque sono sempre stata favorevole alla scelta delle maestre di mia figlia di cambiare ogni mese i posti in classe agli alunni per favorire i rapporti tra compagni senza fossilizzarsi troppo su un solo amichetto preferito.
E poi niente, inizia un nuovo mese, mia figlia non vede l’ora di scoprire accanto a chi dovrà sedere per l’ultimo periodo fino alla chiusura delle scuole e…
Sorpresa! Le maestre hanno assegnato a tutti dei nuovi compagni di banco tranne che alla Nanerottola e a M.
Non che lei abbia alcun problema con il bimbo in questione – almeno non quest’anno che ha smesso di infastidirla e picchiarla senza motivo.
Ma, sarà mica un caso di discriminazione? Magari perché sia lei che M. hanno il sostegno? Quindi non meritano di cambiare compagno do banco? Quindi devono passare il resto dei loro giorni come “quelli che non cambiano posto”? Quindi?

Bene, lei è delusa e se non se ne fosse uscita con la questione così per caso nemmeno ce lo avrebbe raccontato, tenendosi dentro ancora una volta un’emozione di troppo.
E noi genitori invece siamo davvero arrabbiati!
Allora oggi all’uscita da scuola ho colto l’occasione per farmi spiegare dalle maestre.
Conoscendole ho deciso di prendere l’argomento alla larga: “Insomma, Mary mi ha detto che avete scambiato i posti a tutta la classe ma a lei no…”.
La maestra di sostegno ha fatto una mezza smorfia “Si invece, abbiamo spostato anche lei, solo che è rimasta con lo stesso compagno!”.
Inutile dire che mi sono cadute le braccia.
E la scusa della maestra? “Non ce ne siamo accorte… e comunque perché Mary non ce lo ha detto a noi direttamente?”.
Giuro che riuscire a non maledirla ha richiesto tutta la mia pazienza.
Ora sono sicura che verrò trattenuta dalla maestra di Italiano che chissà quale altro pelo nell’uovo vuole venire a raccontarmi di aver trovato.

Ah, io più che banco cambierei maestre.

Fisico.

Mi sono sempre ritenuta molto fortunata riguardo il mio poter mangiare quintalate di schifezze senza mai ingrassare. Giuro che dall’adolescenza, e per parecchio tempo, il massimo del mio ingrassare era sfiorare i 52kg, che poi sparivano senza troppi sforzi da un giorno all’altro.
Per questo, dicevo, mi sono sempre ritenuta fortunata. Perché, devo ammetterlo, io amo il cibo. Mi piace mangiare, sgranocchiare, assaggiare, sperimentare, e sopratutto, cucinare (si, così tanto che pensavo di iniziare a condividere qualche ricetta perché la cucina è proprio una passione).
Dunque per me l’idea di non mangiare è traumatica.
Così tanto traumatica che più ci penso e più mi viene fame.
Il punto è che sono un po sopra quel solito tetto massimo di 52 chili. Diciamo che per arrivare al mio peso ideale dovrei eliminare 9 pesantissimi kg di grasso superfluo e non è una passeggiata!
Do la colpa all’allattamento (perché non so voi, ma io dopo aver sfamato mio figlio mi sento prosciugata e devo per forza mangiare. Qualsiasi cosa ed in quantità abbondanti!).
Do la colpa allo stress (sono nervosa e mangio. Ma non è nemmeno troppo vero perché quando sono davvero nervosa mi si chiude lo stomaco).
Do la colpa alle notti insonni (e alla tv accesa in camera da letto, perché su La7D non fanno altro che mandare in onda programmi culinari, sopratutto la notte!).
Do la colpa a me, sopratutto, che sono troppo golosa e che non so mai essere costante.
Fatto sta che non riesco a guardarmi allo specchio. Quello che vedo non è ciò che vorrei vedere. Ed è frustrante.
So che 9 chili non sono 90 ma quella figura allo specchio non mi rispecchia affatto ed io non ne posso più.
Ho letto un articolo bellissimo che spiega esattamente quello che provo (aggiornerò il post quando ritroverò il link).
Probabilmente il prossimo anno avrò di nuovo il mio fisico, è solo questione di forza di volontà, ma per il momento voglio poter ammettere che non mi piaccio più.
Che piango quando provo ad indossare un paio di jeans che prima mi andava lento ed ora fa fatica a passare sulle cosce.
Lo racconto alle amiche ridendo, ma mentre frustrata e delusa li sfilo, lanciandoli via e scegliendo vestiti più comodi e che diano meno risalto al mio corpo, piango.
Piango perché mi sento un fallimento.
Piango perché tutti mi dicono “E che ci vuole? È questione di tempo” ma nessuno sembra capire quanto sia brutto non riuscire (in modo così accentuato!) ad apprezzarsi. Ad andarsi bene.
Ho sempre avuto un’autostima praticamente inesistente ma ora comincio quasi a detestarmi.
Mi guardo e non mi piaccio, e non importa cosa indosso, o come sistemo i capelli, o se decido di truccarmi almeno un po.
Mi guardo e non mi piaccio.
E allora piango.
Perché credevo di essere cresciuta, di essere almeno più pronta.
Credevo di poter affrontare una situazione simile.
Invece non riesco a far altro che piangere, perché la ragazza che mi guarda, da dietro lo specchio, sembra volermi dire “Ti prego, accettami così!”, ma io non riesco ad ascoltarla.